Si scambiarono molti pensieri mentre volavano, parlando come non facevano da settimane. Saphira gli mostrò come usava le colline e i boschi per nascondersi e come sfruttava l'ombra delle nuvole per mimetizzarsi. Perlustrarono il tragitto per Brom, un compito che si rivelò più arduo del previsto. Non potevano scorgere il sentiero finché Saphira non si abbassava, e in quel caso rischiavano di essere scoperti.
Intorno a mezzogiorno, Eragon avvertì un fastidioso ronzio nelle orecchie, e si rese conto di una strana pressione nella mente. Scosse il capo, nel tentativo di liberarsene, ma la tensione si fece più forte. Gli tornarono alla memoria le parole di Brom su come una persona poteva entrare nella mente altrui, e così cercò disperatamente di sgomberare la testa. Si concentrò su una delle squame di Saphira e si costrinse a ignorare tutto il resto. La pressione si affievolì per un momento; poi tornò, più potente di prima. Una corrente improvvisa fece sbandare Saphira, ed Eragon perse la concentrazione. Prima che potesse erigere una nuova difesa, la forza irruppe. Ma invece della presenza invadente di un'altra mente, sentì soltanto queste parole:
Eragon trovò Brom che agitava le braccia al centro di una radura. Saphira atterrò, ed Eragon smontò in. fretta, guardandosi intorno in cerca di pericoli. I cavalli erano legati a un albero ai margini della radura, ma Brom era solo, Eragon si avvicinò al vecchio e gli chiese: «Che cosa succede?» Brom si grattò il mento e borbottò una serie di imprecazioni. «Non provare mai più a bloccarmi in quel modo. Già è difficile per me raggiungerti senza dover anche lottare per farmi sentire.;» «Scusami.»
Il vecchio sbuffò. «Ero più a valle, lungo il fiume, quando ho notato che le tracce dei Ra'zac erano scomparse. Sono tornato indietro finché non ho trovato il punto dove scomparivano. Guarda il terreno e dimmi che cosa vedi.»
Eragon s'inginocchiò per esaminare il terreno e trovò una confusione di impronte difficili da decifrare. Numerose' orme di Ra'zac si sovrapponevano. Eragon si disse che le tracce dovevano essere vecchie di pochi giorni. Sopra di esse c'erano lunghi solchi profondi. Sembravano familiari, ma Eragon non seppe dire perché.
Si alzò, scuotendo il capo. «Non ho idea di cosa...» Poi il suo sguardo cadde su Saphira, e capì all'istante che cosa aveva lasciato quei solchi. Ogni volta che la dragonessa si alzava in volo, gli artigli delle zampe posteriori affondavano nel terreno e lo dilaniavano allo stesso modo. «Non sembra probabile, eppure l'unica spiegazione che mi viene in mente è che i Ra'zac se ne siano andati a dorso di drago. Oppure hanno uccelli giganteschi su cui sono volati in cielo. Tu hai qualche altra ipotesi?»
Brom si strinse nelle spalle. «Ho sentito dire che i Ra'zac si spostano da un luogo all'altro a una velocità incredibile, ma questa è la prima volta che lo vedo con i miei occhi. Sarà impossibile trovarli, se hanno delle cavalcature volanti. Di una cosa sono sicuro però: non sono draghi. Un drago non accetterebbe mai di essere cavalcato da un Ra'zac»
«Che cosa facciamo? Saphira non può seguire le loro tracce in cielo. E se anche potesse, ti lasceremmo indietro.»
«Non c'è facile soluzione a questo problema» disse Brom. «Pensiamoci mentre pranziamo. Magari ci verrà un'ispirazione, tra un boccone e l'altro.» Eragon si avviò mestamente a prendere i viveri dalle bisacce. Mangiarono in silenzio, gli occhi rivolti al cielo sereno.