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Eragon non aveva ancora voglia di tornare alla rocca. Era mattina, e voleva esplorare Tronjheim con Saphira. Ora che erano lontani dall'Impero, non c'era ragione perché restassero separati; ma era impossibile non attirare l'attenzione con lei al suo fianco. Saphira, che cosa vuoi fare? Lei gli sfiorò un braccio col muso squamoso. Io torno sulla rocca. C'è qualcuno che voglio incontrare. Tu fai un giro, guardati intorno, come ti pare.

D'accordo, disse lui, ma chi devi incontrare? Saphira si limitò a strizzare uno degli enormi occhi azzurri prima di imboccare uno dei quattro tunnel principali di Tronjheim.

Eragon spiegò a Orik dove era diretta, poi aggiunse: «Vorrei fare colazione. E più tardi mi piacerebbe visitare meglio Tronjheim... è un posto straordinario. Non desidero ancora cominciare l'addestramento. Magari domani.»

Orik annuì, la folta barba che rimbalzava sul torace rotondo. «In questo caso, ti piacerebbe visitare la biblioteca di Tronjheim? È molto antica e conserva alcune pergamene di inestimabile valore. Potresti trovare interessante leggere una storia di Alagasëia che non sia stata corrotta dalle mani di Galbatorix.»

Con una fitta di nostalgia, Eragon ricordò di quando Brom gli aveva insegnato a leggere. Si chiese se ne era ancora capace; era passato tanto tempo dall'ultima volta che aveva visto qualcosa di scritto. «Sì, andiamo.»

«Perfetto.»

Dopo che ebbero mangiato. Orik condusse Eragon attraverso una miriade di corridoi, fino alla loro destinazione. Quando furono sotto l'arco intagliato che portava alla biblioteca, Eragon lo varcò con deferenza.

L'ampia sala assomigliava a una foresta. File di eleganti colonne svettavano verso l'oscuro soffitto nervato, cinque piani più in alto. Fra i pilastri erano incuneati scaffali di marmo nero, spalla a spalla. Mensole gremite di pergamene coprivano le pareti, intervallate da tre angusti passaggi raggiungibili grazie ad altrettante scale a chiocciola. A intervalli regolari tutto intorno c'erano coppie di panche di pietra l'una di fronte all'altra, e in mezzo tavoli le cui basi sembravano sorgere dal pavimento stesso.

Nella biblioteca erano conservati innumerevoli libri e pergamene. «Questa è la vera eredità della nostra razza» disse Orik. «Qui si conservano gli scritti dei nostri più grandi re e studiosi, dall'antichità fino ai nostri giorni. Qui sono archiviate le canzoni e le storie composte dai nostri artisti. Questa biblioteca potrebbe essere il nostro tesoro più prezioso. Tuttavia non vi sono conservate soltanto opere dei nani: ci sono anche opere umane. La vostra è una razza dalla vita breve ma prolifica. Abbiamo pochissime informazioni sugli elfi. Custodiscono gelosamente i loro segreti.»

«Quanto posso restare?» chiese Eragon, avviandosi verso i primi scaffali.

«Quanto desideri. Vieni da me se hai qualche domanda.»

Eragon scorse i volumi con sommo piacere, sfilando dalle mensole quelli con le copertine o i titoli più interessanti. Scoprì con piacere che i nani usavano le stesse rune degli umani per scrivere, ma rimase deluso quando si accorse quanto gli era difficile leggere, dopo mesi privi di esercizio. Passò di libro in libro, addentrandosi sempre di più nella vasta biblioteca. Alla fine si immerse in una traduzione delle poesie di Dóndar, il decimo re dei nani.

Mentre scorreva le righe eleganti, sentì un suono di passi avvicinarsi dall'altro lato dello scaffale. Il rumore lo fece sussultare, ma si rimproverò per la sciocca reazione: non poteva certo essere l'unico frequentatore della biblioteca. Malgrado ciò, ripose in silenzio il libro e si allontanò, i sensi in guardia. Era stato vittima di agguati troppe volte per ignorare quella strana sensazione. Udì ancora i passi: questa volta appartenevano a due persone. Teso, si infilò in un varco, cercando di ricordare dove aveva lasciato Orik. Voltò un angolo e rimase di stucco nel trovarsi faccia a faccia con i Gemelli.

I Gemelli erano immobili, spalla a spalla, un'espressione impassibile sui volti pallidi. I loro occhi da serpente lo scrutarono truci. Le loro mani, nascoste fra le pieghe dei manti purpurei, si torsero appena. Si inchinarono entrambi, ma il loro gesto fu insolente e beffardo.

«Ti stavamo cercando» disse uno. La sua voce era sgradevole come quella dei Ra'zac. Eragon represse un brivido. «Per quale ragione?» Dilatò la mente e raggiunse Saphira. La dragonessa reagì subito, unendo i propri pensieri ai suoi.

«Da quando ti sei incontrato con Ajihad, volevamo... chiederti scusa per le nostre azioni.» Le parole suonavano false, ma in un modo che Eragon non poteva smascherare. «Siamo venuti a renderti omaggio.» Eragon avvampò di còllera mentre i due si inchinavano ancora.

Attento! lo ammonì Saphira.

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Андрей Боярский

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