Eragon fece una smorfia a quelle parole, ma le riferì puntualmente a Rothgar. Il re arricciò un angolo della bocca in una smorfia di cupo divertimento; le sue rughe si fecero ancora più profonde. «Vedo che i draghi non sono cambiati nel corso dei secoli.» Picchiò le nocche sul granito del trono. «Sai perché questo sedile è stato scolpito in modo così squadrato? Perché nessuno ci si possa sedere comodo. Io non ci sto comodo e me ne separerò senza rimpianti quando verrà il momento. Che cosa ti rammenta i tuoi doveri, Eragon? Se l'Impero dovesse cadere, prenderai il posto di Galbatorix e rivendicherai il suo regno?»
«Non cerco la corona né il comando» disse Eragon, corrucciato. «Essere un Cavaliere comporta già enormi responsabilità. No, non voglio il trono di Urù'baen... a meno che non ci sia nessuno disposto a farlo, o abbastanza competente.»
Rofhgar lo ammonì con aria grave: «Certo saresti un re migliore di Galbatorix, ma nessuna razza dovrebbe avere un capo che non invecchia e non lascia il trono. Il tempo dei Cavalieri è passato, Eragon. Non risorgeranno più... nemmeno se le altre uova di Galbatorix dovessero schiudersi.» Un'ombra gli attraversò il viso quando il suo sguardo si posò sul fianco di Eragon. «Vedo che porti la spada di un nemico; mi era stato detto, e mi è stato detto anche che hai viaggiato col figlio di un Rinnegato. Non mi piace vedere quell'arma.» Tese una mano. «Ma vorrei esaminarla.» Eragon estrasse Zar'roc dal fodero e la porse al re, dal lato dell'impugnatura. Rothgar la prese e fece scorrere lo sguardo esperto sulla rossa lama che rifletteva la luce delle lanterne. Ne saggiò la punta con il palmo e disse: «Una lama forgiata da maestri. Gli elfi di rado scelgono di fabbricare spade... preferiscono archi e picche... ma quando lo fanno, i risultati sono impareggiabili. Questa è una lama segnata dalla cattiva sorte; non sono contento di vederla nel mio regno. Ma portala pure, se vuoi: forse la sua sorte è cambiata.» Restituì Zar'roc a Eragon, che la rinfoderò. «Mio nipote ti è stato utile durante questi primi giorni di permanenza?»
«Chi?»
Rothgar inarcò un sopracciglio cespuglioso. «Orik, il figlio di mia sorella minore. Ha servito sotto Ajihad a dimostrazione del mio sostegno ai Varden, ma a quanto pare è stato esonerato per tornare al mio comando. Mi ha fatto piacere sapere che hai preso le sue difese.»
Eragon capì che quello era un altro segno di otho, di fede, da parte di Rothgar. «Non avrei potuto chiedere una guida migliore.»
«Bene» disse il re, chiaramente soddisfatto. «Purtroppo non posso trattenermi oltre con te. I miei consiglieri mi aspettano per discutere di alcune questioni. Ma c'è un'ultima cosa che devi sapere: se desideri avere il sostegno dei nani all'interno del mio regno, devi prima dimostrare quanto vali. Abbiamo la memoria lunga e non prendiamo decisioni affrettate. Le parole non servono a niente senza i fatti.»
«Lo terrò a mente» disse Eragon con un inchino.
Rothgar annuì con aria regale. «Potete andare, adesso.»
Eragon si volse insieme a Saphira, e ripercorsero la sala del re della montagna. Orik li aspettava dall'altro lato dei portali di pietra, con un'espressione ansiosa. Mentre risalivano verso la sala centrale di Tronjheim, domandò: «È andato tutto bene? Siete stati accolti con benevolenza?» «Mi è parso di sì. Il tuo re è molto cauto» commentò Eragon.
«Ecco come ha fatto a sopravvivere così a lungo.»
Saphira sembrò divertita.
Al centro di Tronjheim, sotto lo sfavillante Isidar Mithrim. Orik disse: «La tua benedizione di ieri ha messo in subbuglio i Varden. È stato come infastidire un alveare. La bambina che Saphira ha toccato viene acclamata come una futura eroina. Lei e la sua tutrice sono state alloggiate in un appartamento lussuosissimo. Tutti parlano del tuo miracolo, e tutte le madri umane ti cercano per farti fare lo stesso ai loro piccoli.»
Eragon si guardò intorno, allarmato. «Che cosa dovremmo fare?»
«A parte pensare prima di agire?» disse Orik, seccato. «Farti vedere il meno possibile. Nessuno avrà accesso alla roccaforte, perciò lassù non sarai disturbato.»