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Uscirono in fretta dallo studio e si separarono: Jormundur corse alle caserme. Orik e Arya scesero le scale che conducevano nel sottosuolo, Eragon e Saphira s'infilarono in uno dei quattro principali corridoi di Tronjheim. Malgrado l'ora, la città-montagna era in fermento come un formicaio: gente che correva ovunque, scambiandosi messaggi e portando fagotti in cui aveva raccolto i propri averi. Eragon aveva già combattuto e ucciso prima, ma l'angoscia per la battaglia imminente gli stringeva il cuore in una morsa di paura. Non aveva mai avuto l'occasione di prepararsi a uno scontro, e ora che poteva, si sentiva sopraffatto dal terrore. Non aveva paura quando doveva affrontare pochi nemici - sapeva di poter facilmente sconfiggere tre o quattro Urgali grazie a Zar'roc e alla magia ma in un conflitto più esteso tutto poteva accadere.

Uscirono da Tronjheim e cercarono i nani che avrebbero dovuto aiutare. Senza il sole o la luna, l'interno del Farthen Dùr era buio come nerofumo, illuminato da scintillanti lanterne che danzavano nel cratere. Forse sono sul lato opposto di Tronjheim, suggerì Saphira. Eragon assentì e le salì in groppa.

Volarono intorno a Tronjheim finché videro un gruppo di lanterne. Saphira si abbassò verso di loro, e con un lieve fruscio d'ali atterrò accanto a un gruppo di nani sbigottiti, impegnati a scavare con i picconi. Eragon spiegò in fretta il motivo della sua presenza. Un nano dal naso adunco gli disse: «C'è un tunnel a quattro iarde sotto di noi. Qualunque aiuto possiate darci, sarà gradito.» «Se sgomberate l'area sopra il tunnel, vedrò che cosa posso fare» disse Eragon. Il nano nasuto lo guardò dubbioso, ma ordinò, agli altri di allontanarsi.

Eragon respirò a fondo, preparandosi a usare la magia.

Avrebbe potuto spostare tutto il terreno dal tunnel, ma aveva bisogno di conservare energie per dopo. Allora decise di tentare di far crollare il tunnel applicando la forza sulle zone deboli del soffitto.

«Thrysta deloi» mormorò, inviando tentacoli di potere nel sottosuolo. Quasi subito incontrarono uno strato di roccia. Lo ignorò e scese più giù, finché non percepì il vuoto della galleria. Allora cominciò a cercare i punti deboli nella volta. Ogni volta che ne trovava uno, lo spingeva, lo allungava, lo allargava. Era un lavoro faticoso, ma non più di quanto lo sarebbe stato scavare a mani nude. Non faceva progressi visibili, e i nani erano sempre più impazienti.

Eragon perseverò. Poco dopo fu ricompensato da uno schianto sonoro che riverberò fino in superficie. Si udì un crepitio persistente, poi il terreno franò verso l'interno come acqua risucchiata da un canale, lasciando una fenditura larga sette iarde.

Mentre i nani ostruivano il tunnel con i detriti, il nano nasuto accompagnò Eragon alla galleria seguente. Fu più difficile, ma Eragon riuscì a replicare l'impresa. Nelle ore che seguirono, fece crollare almeno mezza dozzina di tunnel in tutto il Farthen Dùr, con l'aiuto di Saphira. La luce cominciò a filtrare dal piccolo squarcio di cielo sopra di loro. Non bastava per vedere, ma contribuì a risollevare lo spirito di Eragon. Il ragazzo volse le spalle alle rovine crollate dell'ultima galleria e si guardò intorno.

Un massiccio esodo di donne e bambini, insieme ai Varden più anziani, si riversava fuori Tronjheim. Tutti portavano provviste, indumenti e le loro cose più care. Li scortava un drappello di soldati, perlopiù ragazzi e anziani.

La maggior parte dell'attività, tuttavia, si svolgeva alla base di Tronjheim, dove i Varden e i nani stavano radunando l'esercito, diviso in tre battaglioni. Ogni divisione recava il vessillo dei Varden: un drago bianco con una rosa fra gli artigli, sopra una spada puntata verso il basso, in campo viola. Gli uomini erano silenziosi e accigliati. Le lunghe chiome spuntavano da sotto gli elmi. Molti guerrieri avevano soltanto una spada e uno scudo, ma c'erano parecchie file di lancieri e picchieri. Nella retroguardia, gli arcieri saggiavano le corde dei propri archi.

I nani erano schierati in assetto di guerra. Cotte d'armi d'acciaio brunito li coprivano fino alle ginocchia, e al braccio sinistro portavano grossi scudi rotondi con gli emblemi dei loro clan. Corte spade pendevano loro dalla cintura, mentre nella mano destra impugnavano asce da guerra o picconi. Le gambe erano coperte da gambali di maglia fitta. Indossavano elmetti di ferro e stivali borchiati di ottone.

Una piccola figura si staccò dal battaglione più lontano e corse verso Eragon e Saphira. Era Orik, armato come gli altri nani. «Ajihad vuole che ti unisca all'esercito» disse. «Non ci sono più tunnel da far crollare. C'è cibo per entrambi.»

Eragon e Saphira seguirono Orik in una tenda, dove trovarono pane e acqua per Eragon e un mucchio di carne secca per la dragonessa. Mangiarono senza lamentarsi; era sempre meglio che patire i morsi della faine.

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Андрей Боярский

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